Il terremoto in Abruzzo mi ha smosso qualcosa che era rimasta in sospeso ma che continuava ad agitarsi.
Oltre a questo, il fatto di seguire regolarmente da qualche settimana gli interventi di Marco Travaglio sul suo blog e di essere andato a ripescare qualche vecchia puntata del suo Passaparola ha fatto riemergere tutto lo schifo che provo per questa classe politica, questa congerie di affabulatori che ci racconta un sacco di cazzate (in TV si danno il turno per coprire le 24 ore) mentre è intenta a mettere le mani sui beni della collettività ed a spartirseli con gli amici e gli amici degli amici (capisc'ammé).
D'altra parte col terremoto ho avuto anche un aumento di fruizione di giornali e televisione, nonostante lo schifo che fanno, alla ricerca di un po' di informazione (quel poco che resta, ormai funziona meglio Facebook) e di qualche opinione che meriti di essere ascoltata. Ormai, di solito, per quanto mi riguarda, resistono soltanto Travaglio e Di Pietro.
Ieri sera ho visto frammenti di Ballarò.
Qualcuno chiedeva che cosa sia la libertà. Qualcuno ha risposto che libertà significa rispetto delle regole.
Be', ora vorrei dire la mia su questo difficile argomento.
Il rispetto delle regole può essere un valore. Lo è, però, in funzione della bontà delle regole e di chi le fa. Il rispetto delle regole dettate da un dittatore è coercizione, non libertà. Il rispetto di regole che ci siamo dati da soli, invece, può essere libertà.
Faccio un esempio banalotto, da due lire: se io mi riprometto di non fumare perché sono convinto che mi fa male, nonostante abbia preso il vizio, soffrirò ogni volta che cercherò di trattenermi dal fumare ma starò affermando la mia libertà. Se invece non posso fumare perché mi è imposto da dio o dal re, allora non è libertà ma repressione.
Ma c'è anche un altro aspetto da considerare, che arricchisce e complica il problema. E' il fatto che non siamo monadi, non siamo schegge impazzite ed isolate. Viviamo insieme. Dobbiamo imparare ad esercitare insieme la nostra libertà. Per tornare all'esempio di prima: se collettivamente si decide che il fumo fa male, il divieto di fumo può essere una affermazione di volontà collettiva. In questo contesto posso anche accettare che il rispetto delle regole significhi libertà, ma non basta. Non può bastare.
La libertà è poter determinare la propria vita. Essere effettivamente partecipi e protagonisti di ciò che ci succede. Avere la facoltà di scegliere ciò che è meglio per noi. Essere partecipi delle decisioni che riguardano noi e gli altri.
Deve significare, quindi, che le decisioni che vengono prese per la collettività non sono prese alla faccia nostra o senza tenere minimamente in conto il nostro pensiero e la nostra esistenza. La vita in collettività impone degli obblighi e dei vincoli, ma questo non significa solo che tutti devono pagare le tasse. Significa anche che tutti devono partecipare alla decisione di quante tasse si debbano pagare e di come debbano essere spese. Significa che tutti devono poter controllare che siano rispettate le decisioni prese e che chi contravviene a queste decisioni deve subirne le conseguenze.
Insomma, riportandosi alla forma dello slogan, libertà non è solo rispettare le regole. Libertà è FARE e RISPETTARE le regole.
Per questo sono necessarie MOLTE condizioni che sono anche MOLTO difficili.
Bisogna avere sufficienti informazioni per conoscere.
Bisogna avere sufficiente cultura per comprendere.
Bisogna avere sufficiente consapevolezza e raziocinio per scegliere autonomamente.
Bisogna avere degli ideali per discernere ed indirizzare le scelte.
Bisogna avere carattere, per non farsi raggirare e manipolare.
Bisogna essere coinvolti nel processo decisionale, nella conduzione della cosa pubblica.
E' questo che c'è intorno a noi?
E' così che viviamo?
Mi pare proprio di no.
Parlo per me. Ho un buon tenore di vita. Ho una certa cultura. Penso di avere una mente abbastanza indipendente. Eppure sono ben lontano dal sentirmi libero, ossia cittadino di uno stato che mi fa sentire libero. Mi manca l'informazione, come ho già detto poco tempo fa. Mi manca ancora una certa cultura necessaria per capire un'economia che sfugge al controllo e dei meccanismi sociali che non comprendo (la clientela, il nepotismo, il consociativismo, le mafie). Mi manca completamente il coinvolgimento nella gestione del paese, come al 99% del resto della popolazione.
Ho un altro intervento nel cassetto, ancora mezzo abbozzato, a proposito della cosiddetta "casta". Mi riprometto di tornarci sopra. Ma qui devo dire l'essenziale: la gente comune, il popolo, è ancora lontano anni luce dalla gestione del potere, separato da una invisibile cortina rispetto agli ambienti dove si prendono le decisioni e si manovrano le risorse.
E questa cortina è fatta di uomini! Principalmente politici.
Se vogliamo sentirci liberi dobbiamo smettere di essere ostaggi di una oligarchia di politici di professione e cominciare a mettere bocca nell'amministrazione della cosa pubblica. Come se fosse un gigantesco condominio, in cui tutti partecipano nel prendere le decisioni e di conseguenza tutti pagano i conti che ne conseguono.
Considerato quanto sanno essere litigiose le assemblee condominiali, mi sa che la soluzione del problema è ancora lontana.
Soprattutto se continueremo a tollerare un paese dove l'informazione è fatta dagli zerbini e la politica dai collusi. In questo contesto libertà non è il rispetto delle regole e tantomeno farle, ma soltanto "fare quel che cazzo ci pare sempre e comunque alla faccia di tutti e andargli in culo". E se per far questo occorre sedere in parlamento, tantomeglio.
Viva la libertà!
1 commento:
Concordo in particolare con l'affermazione che per esercitare la nostra libertà dobbiamo "cominciare a mettere bocca nell'amministrazione della cosa pubblica". Come cantava Gaber, "libertà è partecipazione". Il menefreghismo ed il qualunquismo sono nemici della libertà.
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