Dire una frase che, presa letteralmente, suona esagerata o pretestuosa, se non decisamente falsa, ma che funziona, fa effetto, cattura l’immaginazione e l’immedesimazione e quindi farla diventare uno slogan, un manifesto.
Ultimamente ho “scoperto” gli
Who.
Dice: “Bella scoperta! Sono quarant’anni che vanno in giro e te ne accorgi solo adesso?”
Ebbene si. Sono arrivato in ritardo, come sono arrivato in ritardo nello scoprire tanti altri musicisti che avevano già una carriera alle spalle quando io ero ancora in fasce. Ora è il turno degli Who.
Qualche giorno prima è toccato a
Stefano Rosso (del quale però non sono altrettanto entusiasta).
Ma torniamo agli Who.

Un brano che mi ha colpito moltissimo è “My generation”.

Mi piace un sacco. Sia per la musica che per l’idea (che per me è geniale ed originalissima) del cantato balbuziente (m-m-my g-g-generation). Non riesco ad immaginare come abbiano avuto un’idea così strampalata, ma funziona benissimo! Non solo: si integra perfettamente con l’immagine che mi sono fatto dell’immaginario protagonista di questo brano, giovane, ribelle, insicuro, frustrato.

La canzone compare anche nel film “
Quadrophenia” ed è il posto ideale dove inserire un brano del genere: adolescenti in crisi che trovano sfogo nelle droghe e nelle risse.
Non voglio mettermi a fare il moralista. Non ho idea di come si vivesse in Inghilterra negli anni sessanta. Non posso giudicare quanto “sia necessario” o “possa bastare” per voler scappare dalla realtà e nascondersi in un mondo fittizio di legami sociali simbolizzati da abiti, musica e motocicli. So solo che, personalmente, ho una gran paura delle droghe e di tutto ciò che può dare dipendenza e sono anche irrimediabilmente negato per il confronto fisico (nel senso che se faccio a botte le prendo di sicuro!). E so che da giovani si dicono e si fanno un sacco di cazzate!
Ma siccome la mia fissa principale riguarda il linguaggio ed i significati, sono andato a leggermi con cura il testo della canzone:
“People try to put us down / Just because we get around
Things they do look awful cold / I hope I die before I get old
Why don't you all just fade away / And don't try to dig what we all say
I'm not trying to cause a big sensation / I'm just talkin' 'bout my generation”Propongo una mia traduzione, sperando che non sia troppo lontana dalla realtà. Il mio unico intento è di tradurre il significato: non sono certo in grado di farne una traduzione “artistica” o anche solo accattivante.
La gente cerca di mortificarci / Solo perché siamo dei vagabondi
Si comportano in modo terribilmente freddo / Spero di morire prima di invecchiare
Perché non sparite tutti? / Non potete riuscire a capire ciò che diciamo.
Non sto cercando di suscitare un grande scalpore / Sto solo parlando della mia generazione.E’ evidente che si parla di incomunicabilità generazionale. La “gente” corrisponde al mondo degli adulti, incapace di comprendere l’inquietudine dei ragazzi e che quindi cerca di mettere a tacere il loro disagio con atti “freddi”. L’estremo rifiuto di quel mondo adulto è sintetizzato nella frase, divenuta famosa, “spero di morire prima di invecchiare” che, cambiando prospettiva, potremmo anche tradurre con “spero di morire prima di crescere”. [Assomiglia un po’ al mio “
sono convinto di morire prima dei 30 anni” di qualche decennio fa. Oggi non mi dispiace che non sia andata così!]
La cosa un po’ inquietante di tutto questo, però, è come un testo così scarno, intransigente, estremo, possa conquistare l’ascoltatore senza fornire riferimenti concreti. Non sappiamo quali siano i problemi di questi ragazzi, quali angherie abbiano dovuto sopportare, quali reazioni abbiano messo in atto. Lo possiamo capire dal film, in cui vediamo il contesto, il disagio, le mode, la rabbia. Lo possiamo intuire dalle esibizioni dal vivo della band, in cui spaccavano tutto alla fine del brano. Ma nel solo testo della canzone tutto questo non c’è, e quindi ognuno può metterci quello che vuole, quello che sente più vivo e vero: il proprio disagio nel contenitore costruito da altri.
Un ragazzo vittima di violenze da parte dei genitori può identificarsi in un testo del genere esattamente come uno che si è visto negare l’acquisto della terza playstation. E’ un mondo interiore che dà significato alle parole e quando si è adolescenti non si percepisce molto il senso della misura: i nostri drammi sono i più grandi, se qualcuno non ci ha insegnato a guardarci intorno ed a metterci nei panni altrui.
Gli Who di "My generation" erano in quattro.
Keith Moon (batteria) è morto a 32 anni per una overdose di farmaci. John Entwistle (basso) è arrivato solo ai 40 per problemi di cuore (aiutati da un pizzico di cocaina).
...before I get old...
Pete Townshend (chitarra) e Roger Daltrey (voce) sono ancora vivi. Nel frattempo sono cresciuti e sono anche invecchiati. Immagino che anche loro, come me, guardino con una certa indulgenza a certe prese di posizione categoriche ed intransigenti della loro gioventù.

Io intanto continuo ad ascoltarmi “My generation” godendo di ogni b-b-b-balbettio del cantante, ma non smetto di pensare a quanto sia relativo il senso di ciò che diciamo e pensiamo. Specialmente quando siamo adolescenti, abbiamo poca esperienza, cominciamo a “fare a pugni” col mondo adulto sentendocene ancora estranei ed una frase ad effetto può servire a catalizzare tutta la nostra rabbia, il nostro senso di inadeguatezza, la nostra paura.
L’augurio che faccio a tutti gli esseri umani che affrontano questo tipo di problemi è di riuscire a farlo senza fuggire dalla realtà ingoiando pasticche, perché non credo che lasciarci le penne possa essere considerato un buon risultato. Eppure gli esempi, famosi, affascinanti, non mancano: oltre allo stesso Keith Moon, penso per esempio ad Andrea Pazienza, a Kurt Cobain e ad un fantomatico Jim Morrison di cui mi colpì particolarmente una frase riportata su un muro della stazione:
"Quando morirò andrò in paradiso, perchè l'inferno l'ho già vissuto quaggiù."Non conosco la biografia di Jim Morrison, ma su due piedi mi viene difficile pensare che lui abbia realmente vissuto l’inferno in terra. Anzi, dal mio punto di vista di scialbo quarantenne un po' pelato, penso che lui a quel tempo aveva tutto: la gioventù, il successo, le donne, la libertà di fare il casino che gli pareva. Ma anche questi, ovviamente, sono punti di vista.
Non ho dubbi sul fatto che un adolescente, magari un liceale con lo zaino con i-pod integrato, il taglio fresco di parrucchiere ed i pantaloni a vita bassa (ma vanno di moda anche quest’anno?), possa identificarsi con una affermazione del genere. L’inferno può avere tanti volti, e solo noi sappiamo quanto grandi siano i nostri dolori. Fa parte dell’adolescenza vivere intensamente e forse anche in modo traumatico qualsiasi cosa, anche la più piccola. Non c’è da sorprendersi quindi che questa frase spopoli in rete, su forum, siti e blog (tutta gente che non solo ha un tetto sopra la testa, ma anche telefonini con cui fotografarsi, un computer ed una linea adsl per navigare ed un sacco di amici su myspace e facebook).
Quello che mi stupisce invece è che non sono riuscito a trovare l’originale in inglese, nonostante mi sia impegnato a fondo nella ricerca. Ormai mi conoscete: volevo trovare l’originale, perché nella traduzione poteva essere stato travisato lo spirito iniziale. Ma non ho trovato niente...
Non sarà mica una frase fasulla, attribuita a Morrison solo per dargli più peso?
(tipo quella delle api messa in bocca ad
Einstein...)