martedì 22 settembre 2009

Chi fa da sé...

Pochi giorni fa Berlusconi era da Vespa a Porta a Porta per parlare della consegna delle prime case ai terremotati di Onna. L'evento ha provocato una mole di polemiche sulle quali preferisco glissare perché le trovo veramente poco interessanti. Quello che più mi interessa, invece, è un commento di un mio amico che ironizzava sul fatto che il premier fosse andato ad una trasmissione "senza contraddittorio" a lamentarsi di "chi parla male di lui senza contraddittorio".

Ecco cosa mi interessa: una riflessione sul contraddittorio.

Partiamo dalle basi: il dizionario.
Il solito buon De Mauro recita:
1 agg., al pl., con valore rec., di fatti o parole che sono in contrasto fra loro: pareri contraddittori, avvenimenti contraddittori
2 agg., che presenta contraddizioni, incoerente, ambiguo: discorso c., carattere, comportamento c.
3 s.m., discussione pubblica fra due persone che sostengono opinioni contrarie, spec. durante dibattiti, processi e sim.

Il caso che ci riguarda è ovviamente il terzo, ma vedremo che alla fine si ricasca anche nei primi due.

Quindi chiediamoci: com'è che funzionano le esternazioni al giorno d'oggi in televisione?
Perché in effetti è dello specifico della televisione che stiamo parlando: nessuno si sognerebbe di pretendere un contraddittorio sulle pagine di un giornale o di un sito internet... al massimo esiste il diritto di rettifica... ma nessuno si aspetta che su "Il Giornale" accanto all'editoriale di Feltri compaia anche un contro-editoriale della Concita De Gregorio, o viceversa su L'Unità.

Torniamo alla televisione: che guardiate un telegiornale o un dibattito televisivo ormai la formula è chiara: si devono riportare le posizioni di "entrambe" le parti. Commento di (centro)sinistra, commento di (centro)destra (ometto intenzionalmente il "panino", che in questo contesto non mi interessa)

In ogni trasmissione di "dibattito" c'è sempre una netta divisione fra le poltrone degli ospiti, destra e sinistra, le fazioni si fronteggiano e, ovviamente, si parlano addosso ed inveiscono reciprocamente. Ormai non si vede più quale sia la differenza fra i due schieramenti. Ognuno muove da posizioni che sono agli antipodi rispetto all'interlocutore. Su qualsiasi argomento le interpretazioni sono predefinite e simmetriche. Al posto di questi programmi si potrebbe tranquillamente mettere una coppia di robottini che quando uno dice "bianco" l'altro risponde "nero" ed otterremmo lo stesso risultato.

E veniamo quindi al fantomatico "contraddittorio".
Quale oscuro valore aggiunto potrà mai apportare la presenza di un contraddittorio alla bontà delle argomentazioni degli interlocutori?
E' semplice, almeno in apparenza: se uno mente l'altro glielo può rinfacciare, se uno omette l'altro può integrare, se uno travisa l'altro lo può correggere. Ma il fatto reale è che non succede mai così! Entrambi mentono, entrambi omettono, entrambi travisano, ognuno per tirare l'acqua al suo mulino e fare "bella figura" davanti agli spettatori. Così si trasforma un dibattito in una gara di dialettica, in cui il vincitore non è quello con gli argomenti più forti ma quello che riesce a far fare la figura del cretino all'altro.
Si tratta inoltre di una struttura dialettica presa a prestito da un ambito che non dovrebbe avere niente a che fare con questi dibattiti: l'aula di tribunale. Nei processi l'imputato è assistito da un difensore che cerca di smontare le argomentazioni dell'accusa. In un mondo perfetto, il pubblico ministero ed il difensore perseguono entrambi la ricerca della verità, ciascuno con un diverso punto di vista: il primo tutela gli interessi della collettività, il secondo quelli dell'imputato. Entrambi dovrebbero essere paladini della giustizia che, per evitare errori giudiziari, si fronteggiano in aula solo per essere certi che ogni prova ed ogni testimonianza siano valutati compiutamente e da entrambi i punti di vista.

Non è quello che succede nei dibattiti televisivi!
Il dibattito televisivo non somiglia ad un processo in cui si ricerca la verità, ma ad un incontro di boxe dove si cerca di mettere al tappeto l'avversario, usando anche colpi proibiti se l'arbitro ce lo consente o è distratto.

E allora a che pro il "contraddittorio"?
Se si facessero delle semplici interviste, ciascuno direbbe la sua, il pubblico ascolterebbe le due campane (o magari anche più di due, perché no?) e poi giudicherebbe con la sua testa. Invece in questo modo si assiste passivamente ad un match e ci si limita al massimo, come i giudici del ring, a dare un voto ai due contendenti decidendo così "chi ha vinto" secondo ciascuno di noi. Una farsa!

E così il tanto blasonato "contraddittorio", che dovrebbe condurre alla Verità, finisce per contraddire se stesso, svolgendo il ruolo di arena in cui la verità muore, vittima degli ascolti.

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