giovedì 30 ottobre 2008

Rappresentanti rappresentativi


Che cosa serve perché una persona rappresenti un certo gruppo sociale? Bisogna che racchiuda in sé le caratteristiche di quel gruppo. Oppure che sia delegata a rappresentarlo.

Sto intenzionalmente confondendo due diversi significati del verbo rappresentare perché trovo divertente (o preoccupante, secondo i casi) l’idea che chi rappresenta un certo gruppo potrebbe non essere un rappresentante di quel gruppo stesso.

Quando i genitori degli studenti (e alle superiori anche gli studenti stessi) mandano al consiglio di classe un loro rappresentante, mandano uno di loro.
Quando nella MotoGP i piloti vanno a discutere di problemi di sicurezza mandano un proprio rappresentante che è a sua volta un pilota.
Sulle prime verrebbe da pensare che i rappresentanti scaturiscano dal gruppo.

Ma non sempre funziona così.
Per esempio se parliamo di sindacati. Un sindacalista, cioè uno che rappresenta i lavoratori, in molti casi è uno che non lavora (perché distaccato) e a volte non è nemmeno un dipendente della stessa ditta dei lavoratori che va a rappresentare. Più si sale di livello e più si aggrava questa differenza, con il risultato che spesso i lavoratori finiscono per lamentarsi del fatto che “non si sentono rappresentati”. (se ve lo state chiedendo: sì, ho visto Report domenica scorsa, ma son cose che si sanno da un sacco di tempo)

Vediamo allora cosa succede con la politica. Il politico viene eletto per il suo programma (o per i suoi appoggi o per la sua importanza all’interno del proprio partito o perché ha i voti di scambio ecc.) ma non certo perché incarna le caratteristiche del proprio elettorato.
No, aspettate un attimo. Forse è il caso di distinguere, perché a ben guardare mi pare che il distacco fra rappresentante e rappresentati sia un problema della sinistra, non della destra. Gli industriali hanno i loro rappresentanti che sono industriali, i conservatori hanno i loro rappresentanti che sono conservatori, i razzisti e campanilisti hanno i loro rappresentanti che sono razzisti e campanilisti.
E’ a sinistra che non si capisce più quale sia il legame fra la base elettorale ed i politici eletti.
Forse è per questo che la destra funziona e la sinistra no. A meno di non voler essere maliziosi e di pensare che questa sinistra funziona benissimo... per la destra!
Un po’ come quei sindacalisti che tengono a bada i lavoratori mentre prendono accordi con l’industria per consolidare i propri privilegi. Poi tornano dalla base e le spiegano che così “è meglio per tutti”. Ma tutti chi?

Sto facendo del qualunquismo. E’ terribile!

Allora torniamo a parlare di lessico.
Sul De Mauro ci sono un sacco di significati per il verbo “rappresentare”.
Quelli di cui ho parlato finora sono il “2a” (esprimere nei tratti peculiari, incarnare) ed il “5a” (operare, agire in rappresentanza di altri, spec. difendendone gli interessi).
Però non mi dispiace neanche il “4” (interpretare, impersonare ... mettere in scena) che contiene quel pizzico di finzione che fa scopa con il mio spirito polemico.

La mia insegnante di italiano in prima liceo si chiamava Bianchini, era giovane, belloccia, disinvolta. Si divertiva a scherzare su Dante e Beatrice a proposito del verso “Tanto gentile e tanto onesta pare”: il predicato “pare” può essere interpretato come “appare” ma anche come “sembra”. Guardate un po’ che effetto fa se dite: “Tanto gentile e tanto onesta sembra”.


Forse lo stesso che fa quando pensiamo ai rappresentanti che ci rappresentano...

giovedì 23 ottobre 2008

Sticazzare e Gliel’ammollare


Poi uno dice che le lingue non sono importanti…


Se a Firenze senti uno che dice “sticazzi!” lo devi interpretare come “caspita, accipicchia, nientepopodimeno!”. Un concetto che a Roma si esprime con la locuzione “mei cojoni!”

Ma anche a Roma si usa l’espressione “sticazzi”, solo che vuol dire l’esatto opposto: “chi se ne frega, fatti tuoi, me ne fotto”.

A Roma si usa anche l’espressione “gliel’ammolla”. Significa “è in gamba, sa il fatto suo, è meglio degli altri”. A Firenze, se sentite dire che uno “gliel’ammolla” lo dovete necessariamente interpretare come riferimento sessuale, reale o figurato. La cosa “ammollata” è il pene, reale o figurato. L’atto dell’ “ammollare” corrisponde alla penetrazione, reale o figurata. La persona a cui viene “ammollato”, lo piglia in quel posto, reale o figurato.

Adesso non mi viene in mente una simpatica associazione di questi termini sotto forma di sagace storiella edificante che esemplifichi fraintendimenti e doppi sensi mal interpretati dovuti alla scarsa conoscenza dei rispettivi idiomi (una cosa del tipo “un fiorentino ed un romano si incontrano. Il fiorentino dice al romano… eccetera”). Provate ad immaginarvela da soli, tanto il senso è chiaro.

E ricordate sempre: è importante conoscere le lingue, anche quelle che non si crede che possano essere diverse fra loro ed invece lo sono!

mercoledì 22 ottobre 2008

Preveggenza fai-da-te


E’ facile sfornare profezie che poi si avverano: basta godere di un buon credito.

La Pizia
Dice la televisione: gli analisti affermano che ci sarà recessione, i prezzi delle case caleranno per i prossimi 10 anni, i prezzi delle materie prime caleranno perché le aziende sono in crisi e non possono comprare, evvia evvia…

La gente ascolta la televisione ed ha una fiducia cieca quanto ignorante nella veridicità delle opinioni degli “analisti” che non si sa mai chi siano e perché dicano quello che dicono (non è che magari lo fanno per interesse?). Sentendo la ferale novella i proprietari di case che avevano una mezza idea di vendere si affrettano a farlo prima che i prezzi crollino. Analogamente chi ha messo i suoi risparmi in azioni si spaventa e corre a riprendersi i suoi soldi prima di perderli tutti.
Curiosamente nel mercato c’è un meccanismo per cui, se tutti vendono, i prezzi calano. L’offerta supera la domanda e, se si vuole davvero vendere, bisogna offrire prezzi più concorrenziali. E giù che i prezzi calano e si avvera la profezia dei prezzi che calano.
Le aziende quotate in borsa, analogamente, vedono crollare il valore delle loro azioni perché i piccoli risparmiatori stanno abbandonando la nave che “affonda” (così gli han detto). E più crolla il valore e più gli stolti vendono e più il prezzo crolla ulteriormente.
[Poi arriva un furbo che rastrella e fa il colpaccio, ma questa è un’altra storia...]
Così le aziende vanno in crisi davvero, poi fanno fatica a comprare le materie prime, i cui prezzi cominciano a calare. Un altro colpo a segno per i vati della finanza!

Mi ricordo una vecchia storia di Paperon de’ Paperoni (ancora lui!) che aveva un po’ di azioni di una certa azienda. Avendo voglia di prendersela tutta, l’azienda, Paperone usa questo semplice stratagemma: vende in un colpo solo tutte le sue azioni. Il mercato (pieno di volponi!), vedendo PdP che vende e fidandosi della sua competenza, si affretta a seguirne l’esempio: tutti vendono ed il prezzo crolla. All’ultimo momento PdP fa la mossa inversa: compra tutto. Il prezzo è ridicolo, i venditori sono terrorizzati, PdP rastrella tutto e fa sua l’azienda con un discreto risparmio. Ovviamente a quel punto il valore delle azioni schizza su ed il buon PdP dimostra per l’ennesima volta di sapere come si fanno i soldi...

Anche nel film "Una poltrona per due" gli sfigati Eddie Murphy e Dan Aykroyd usano lo stesso stratagemma per fregare i due ricconi che li avevano raggirati. Il film è del 1983.


Ora...
...stabilito che su questi giochetti ci si raccontano storielle nei fumetti ed al cinema da almeno 25 anni, è mai possibile che siamo ancora così gonzi da cascarci?
Certo che lo siamo!

Ma mica solo sulla borsa ed i risparmi, per carità!
Pare che ultimamente il jackpot del Superenalotto sia a livelli record.
Lo dicono la televisione ed i giornali. Tutti i giorni. Più volte al giorno. E le giocate aumentano! Per forza... vuoi perdere un’occasione come questa? Oggi si possono vincere 100 milioni di euro!

Sì, ho capito, ma quando se ne potevano vincere “solo” 50, faceva schifo? O 25? Che poi, che cosa ci fai con - anche "solo" - 25 milioni di euro? Io con un paio mi sistemerei a vita. Se ne avessi di più non saprei nemmeno come spenderli!
[E poi, siamo davvero sicuri che quei soldi arrivano? Non è che ci rifilano in cambio la proprietà di una bella montagna sulla Sila? Io la faccia di uno che ha vinto al Superenalotto non l’ho mai vista. Ma esisteranno davvero? Ma dopotutto anche questa è un’altra storia...]

Torniamo alle giocate, che crescono in modo vertiginoso. Il Codacons è preoccupato e propone terapie deliranti per arginare la situazione perché c’è gente che si sta rovinando (vuol far sequestrare il montepremi dalla Procura della Repubblica di Roma! E poi che fine fa? Va a finire alle Poste ad ingrassare i conti correnti dei tribunali come i soldi sequestrati alla mafia ed a tangentopoli?!?!).

Perché invece non ci preoccupiamo del fatto che la “febbre del gioco” viene fomentata quotidianamente da tutti i mass media? Chi è che tutti i giorni, più volte al giorno, continua a strillarci nelle orecchie che c’è un jackpot miliardario? E che tutti giocano per non perdere l'occasione?
E’ un’altra profezia autoavverantesi: più strilli che la gente gioca e più la gente giocherà.

Ma quello che mi chiedo soprattutto è PERCHE’ si sta facendo questa campagna stampa? Chi è che dà incarico ai giornalisti di pompare (perché di pompaggio si tratta) la notizia delle giocate al Superenalotto? Chi è che si prende i soldi se tanta gente gioca e non vince?

Pare che Sisal gestisca il Superenalotto per conto dello Stato.
Non è che si vuole pareggiare il buco delle banche e dei mercati con gli introiti della lotteria?

[In sottofondo, sfumando sui titoli di coda:
- Che poi, alla fine, son sempre soldi nostri, come quelli delle tasse!!!
- Ma almeno, stavolta, sono spesi volontariamente...
- Sì, se si può parlare di libera volontà quando un popolo di pecoroni va dietro a delle notizie pilotate ad arte...
- Eh, ma non ti sta mai bene niente!!!]

lunedì 20 ottobre 2008

Il mostro sbagliato

Leggendo Paolo Attivissimo che parla di Facebook sono finito su questo articolo del Corriere della Sera:

"Si definisce «single» su Facebook,
il marito la uccide con una mannaia"


La faccio breve: non sopporto i giornalisti che prendono una notizia, ne cercano gli aspetti più trendy e la rigirano come un calzino per ottenere un articolo "al passo coi tempi" che ha poco a che vedere con la notizia iniziale.

Leggetevi il testo dell'articolo.
Si comincia ripetendo il concetto del titolo (quindi questa volta non posso accusare il titolista, come faccio di solito):
"Ha ucciso la moglie Emma con una mannaia da cucina perché la donna aveva dichiarato su Facebook di essere single..."

Poi però leggendo il resto si scopre come stanno davvero i fatti: una coppia separata, un marito persecutore, uno sfogo di rabbia con assunzione di alcool e droghe, una donna uccisa.
Che c'entra internet ed in particolare FaceBook che in questi giorni è sulla bocca di tutti? Poco, se non niente: l'ira del marito sarebbe esplosa quando ha visto che la ex moglie su FaceBook aveva indicato di essere "single". Un pretesto qualsiasi, insomma.

A parte il monito sullo stare attenti a mettere i fatti propri in mostra su internet, cosa che su FaceBook tutti fanno in maniera a volte incosciente...
A parte il fatto che comunque per vedere il suo profilo l'ex marito doveva figurare fra gli "amici", cosa alquanto stravagante, vista la situazione...
A parte tutto, il fatto è che una scintilla non è un rogo! Se l'ex marito fosse esploso perché un vicino gli aveva detto "ho visto tua moglie con un altro" sarebbe cambiato qualcosa? No!
Il delitto è stato causato dalla gelosia di un uomo instabile che era stato già allontanato (non abbastanza, evidentemente) dalla vittima.
Eppure Faceook, ossia la moda del momento, viene evidenziato e ripetuto nel titolo e nella prima riga dell'articolo come se fosse il vero motivo di interesse della notizia stessa.

Lasciamo perdere il sensazionalismo, sennò questa, invece che una notizia di nera per un delitto di gelosia, diventa una notizia di gossip scabroso sull'ultimo grido del social networking!
Cosa ci interessa di più: la vita delle persone o l'ultimo giocattolo che abbiamo scoperto in rete?

La mia banca è uguale alle altre

Ma chi l'ha detto che il compito delle banche è di sostenere l'economia???

Zio Paperone
Il compito delle banche è di fare soldi.
Prestare soldi per ottenere indietro una cifra maggiore.
Farsi dare i soldi dai risparmiatori per investirli e fare la cresta sul rendimento di questi investimenti.
Acquisire ed amministrare beni (mobili o immobili) che aumentino nel tempo il loro valore.
Scaricare su altri le proprie perdite.
Niente etica, solo profitto. L'unico metro di giudizio è il denaro.

Lo scopo delle banche (che poi è lo scopo intrinseco del capitalismo) è di succhiare TUTTI i soldi DI TUTTI e così dominare la società.
In realtà già la dominano, visto che, quando fanno qualche cazzata e si mettono nei guai, ci pensa "la collettività" a tappare le falle e risanare le perdite. Se le banche vanno in crisi ci pensano i governi ad intervenire per calmierare la situazione.
Ma con che soldi agiscono i governi?
Mica quelli delle banche: è proprio per difenderli che scendono in campo i governi. E nemmeno quelli dei banchieri: i loro beni privati stanno molto al sicuro, ci mancherebbe!
No, si usano i soldi dello stato, cioè dei cittadini, cioè di coloro che già normalmente non contano niente.
E con che intenti agiscono i governi?
Mica di scalzare i banchieri approfittatori dalle loro poltrone e sostituirli con degli amministratori onesti e corretti. Per carità!
No, usano i soldi dei cittadini per tappare i buchi dei banchieri senza prendergli una lira e mantenendoli al loro posto, permettendo loro in questo modo di creare altri buchi.

Una volta, quando ero giovane, il criterio del conto corrente era: "Io metto i miei soldi in banca, invece che sotto al mattone, perché la banca è golosa di soldi (da reimpiegare in vari modi) ed infatti mi ci paga sopra degli interessi". Era il cittadino che faceva il prestito alla banca per ottenerne un utile.
Ora funziona al contrario: il conto corrente è un "servizio", perché ci consente di avere l'accredito dello stipendio senza andare di persona a versare l'assegno (cioè, comunque, versare i nostri soldi in banca), ci consente di fare bonifici (a pagamento), di avere bancomat e carta di credito (a pagamento). E di conseguenza, è a pagamento anche lo stesso conto, visto che è un servizio che ci viene offerto e non un favore che noi facciamo a loro. Ed i tassi di interesse del conto corrente ormai sono a zero o a livelli assolutamente ridicoli che non riescono nemmeno a ripagare i costi di gestione del conto stesso (e sennò che senso ha far pagare dei costi, se poi con gli interessi si ripagano da soli?!?!?)

Ma se tutti i risparmiatori togliessero i soldi dai conti correnti, dalle azioni, dalle obbligazioni non statali, che cosa succederebbe? Che tutto il castello costruito dalle banche sui nostri soldi crollerebbe miseramente.
Verrebbe voglia di farlo!
Una anteprima la possiamo vedere nei periodi di crisi come in questi giorni, in cui i risparmiatori si spaventano e cominciano a scappare come topi dalle varie navi che si teme possano affondare. Ci si rifugia nei BOT o nei "pronti contro termine" perché non ci si fida più nemmeno delle obbligazioni delle banche (la cui scadenza annuale o biennale è troppo lunga rispetto alle paure di crack finanziari e fallimenti degli istituti di credito).


La fregatura è che le banche sono talmente importanti che, se crollano loro, poi crolla tutto il sistema!
Lo stato non può andare avanti senza le coperture delle banche. L'industria men che meno. Quindi ci ritroveremmo di punto in bianco tutti a culo scoperto.
Senza contare il fatto che comunque le banche non sono capaci di restituirci indietro i nostri soldi, perché li hanno già riutilizzati da qualche altra parte. Se tutti noi svuotassimo i conti, solo i primi riuscirebbero ad avere i loro soldi. Gli altri resterebbero a secco insieme alle banche.

E’ un confronto impari fa uno sciame di topolini ed un branco di elefanti: i topolini possono anche spaventare qualche elefante, ma se il branco si imbizzarrisce e comincia a correre, i topi fanno... la fine del topo!


Mentre sto qui che mi macero nell’ansia per il futuro, vi consiglio una lettura interessante: "Q" di Luther Blissett, un romanzo che non tratta di analisi economico-finanziarie ma che parla del ruolo dei poveri, del popolo, nel corso di una stagione eccezionale che comincia con la riforma protestante e finisce qualche decennio più tardi (siamo nella prima metà del 1500).
Il protagonista è un miserabile come tanti, che ha la fortuna e la sfortuna di sopravvivere sempre a tutti i fatti cruenti in cui si trova inesorabilmente calamitato (dalla volontà degli autori di ficcarlo in tutti i focolai di rivolta che si sono manifestati in Europa in quegli anni).
E' uno splendido romanzo, bello da leggere e molto edificante. Parla anche delle banche nel loro periodo di giovinezza, quando cominciavano a finanziare i re che volevano andare in guerra e quindi riuscivano a comandarli a bacchetta minacciando di revocare i prestiti. I re, dal canto loro, ogni tanto imprigionavano e giustiziavano qualche banchiere, tanto per non dovergli più restituire i soldi che gli dovevano, ma la cosa non giovava alla reciproca fiducia con gli altri banchieri.

Sono più di 500 anni che ci facciamo prendere per il naso (e per il collo) dai banchieri.
Non sarebbe bello smetterla?



Nota a posteriori: avevo scritto questo intervento alcuni giorni fa, poi ho fatto il pigro e non l’ho postato. Ieri sera ho guardato Rai3 ed ho ascoltato dalla voce di Luciana Littizzetto e dei giornalisti di Report tutto quello che ho scritto e molto di più, a parte il consiglio di lettura. Vabbè, non è che mi posso mettere in competizione con i professionisti! :-)
Il concetto principale esposto da Lucianina è: “Lo stato siamo noi. Se lo stato aiuta le banche con i propri soldi, vuol dire che NOI diamo alle banche i NOSTRI soldi per permettere alle banche di continuare a prenderci per il collo.” Più chiaro di così…
La puntata di Report, invece, per chi non l’avesse vista o volesse rivederla, la trovate qui: testo e video.

mercoledì 8 ottobre 2008

Spero di invecchiare bene


Dire una frase che, presa letteralmente, suona esagerata o pretestuosa, se non decisamente falsa, ma che funziona, fa effetto, cattura l’immaginazione e l’immedesimazione e quindi farla diventare uno slogan, un manifesto.


Ultimamente ho “scoperto” gli Who.
Dice: “Bella scoperta! Sono quarant’anni che vanno in giro e te ne accorgi solo adesso?”
Ebbene si. Sono arrivato in ritardo, come sono arrivato in ritardo nello scoprire tanti altri musicisti che avevano già una carriera alle spalle quando io ero ancora in fasce. Ora è il turno degli Who.
Qualche giorno prima è toccato a Stefano Rosso (del quale però non sono altrettanto entusiasta).

Ma torniamo agli Who.

Gli Who degli inizi
Un brano che mi ha colpito moltissimo è “My generation”.

Il primo LP
Mi piace un sacco. Sia per la musica che per l’idea (che per me è geniale ed originalissima) del cantato balbuziente (m-m-my g-g-generation). Non riesco ad immaginare come abbiano avuto un’idea così strampalata, ma funziona benissimo! Non solo: si integra perfettamente con l’immagine che mi sono fatto dell’immaginario protagonista di questo brano, giovane, ribelle, insicuro, frustrato.

Jimmy
La canzone compare anche nel film “Quadrophenia” ed è il posto ideale dove inserire un brano del genere: adolescenti in crisi che trovano sfogo nelle droghe e nelle risse.
Non voglio mettermi a fare il moralista. Non ho idea di come si vivesse in Inghilterra negli anni sessanta. Non posso giudicare quanto “sia necessario” o “possa bastare” per voler scappare dalla realtà e nascondersi in un mondo fittizio di legami sociali simbolizzati da abiti, musica e motocicli. So solo che, personalmente, ho una gran paura delle droghe e di tutto ciò che può dare dipendenza e sono anche irrimediabilmente negato per il confronto fisico (nel senso che se faccio a botte le prendo di sicuro!). E so che da giovani si dicono e si fanno un sacco di cazzate!

Ma siccome la mia fissa principale riguarda il linguaggio ed i significati, sono andato a leggermi con cura il testo della canzone:

“People try to put us down / Just because we get around
Things they do look awful cold / I hope I die before I get old

Why don't you all just fade away / And don't try to dig what we all say
I'm not trying to cause a big sensation / I'm just talkin' 'bout my generation”


Propongo una mia traduzione, sperando che non sia troppo lontana dalla realtà. Il mio unico intento è di tradurre il significato: non sono certo in grado di farne una traduzione “artistica” o anche solo accattivante.

La gente cerca di mortificarci / Solo perché siamo dei vagabondi
Si comportano in modo terribilmente freddo / Spero di morire prima di invecchiare

Perché non sparite tutti? / Non potete riuscire a capire ciò che diciamo.
Non sto cercando di suscitare un grande scalpore / Sto solo parlando della mia generazione.


E’ evidente che si parla di incomunicabilità generazionale. La “gente” corrisponde al mondo degli adulti, incapace di comprendere l’inquietudine dei ragazzi e che quindi cerca di mettere a tacere il loro disagio con atti “freddi”. L’estremo rifiuto di quel mondo adulto è sintetizzato nella frase, divenuta famosa, “spero di morire prima di invecchiare” che, cambiando prospettiva, potremmo anche tradurre con “spero di morire prima di crescere”. [Assomiglia un po’ al mio “sono convinto di morire prima dei 30 anni” di qualche decennio fa. Oggi non mi dispiace che non sia andata così!]

La cosa un po’ inquietante di tutto questo, però, è come un testo così scarno, intransigente, estremo, possa conquistare l’ascoltatore senza fornire riferimenti concreti. Non sappiamo quali siano i problemi di questi ragazzi, quali angherie abbiano dovuto sopportare, quali reazioni abbiano messo in atto. Lo possiamo capire dal film, in cui vediamo il contesto, il disagio, le mode, la rabbia. Lo possiamo intuire dalle esibizioni dal vivo della band, in cui spaccavano tutto alla fine del brano. Ma nel solo testo della canzone tutto questo non c’è, e quindi ognuno può metterci quello che vuole, quello che sente più vivo e vero: il proprio disagio nel contenitore costruito da altri.
Un ragazzo vittima di violenze da parte dei genitori può identificarsi in un testo del genere esattamente come uno che si è visto negare l’acquisto della terza playstation. E’ un mondo interiore che dà significato alle parole e quando si è adolescenti non si percepisce molto il senso della misura: i nostri drammi sono i più grandi, se qualcuno non ci ha insegnato a guardarci intorno ed a metterci nei panni altrui.

Gli Who di "My generation" erano in quattro.
Keith Moon (batteria) è morto a 32 anni per una overdose di farmaci. John Entwistle (basso) è arrivato solo ai 40 per problemi di cuore (aiutati da un pizzico di cocaina).
...before I get old...
Pete Townshend (chitarra) e Roger Daltrey (voce) sono ancora vivi. Nel frattempo sono cresciuti e sono anche invecchiati. Immagino che anche loro, come me, guardino con una certa indulgenza a certe prese di posizione categoriche ed intransigenti della loro gioventù.


Io intanto continuo ad ascoltarmi “My generation” godendo di ogni b-b-b-balbettio del cantante, ma non smetto di pensare a quanto sia relativo il senso di ciò che diciamo e pensiamo. Specialmente quando siamo adolescenti, abbiamo poca esperienza, cominciamo a “fare a pugni” col mondo adulto sentendocene ancora estranei ed una frase ad effetto può servire a catalizzare tutta la nostra rabbia, il nostro senso di inadeguatezza, la nostra paura.
L’augurio che faccio a tutti gli esseri umani che affrontano questo tipo di problemi è di riuscire a farlo senza fuggire dalla realtà ingoiando pasticche, perché non credo che lasciarci le penne possa essere considerato un buon risultato. Eppure gli esempi, famosi, affascinanti, non mancano: oltre allo stesso Keith Moon, penso per esempio ad Andrea Pazienza, a Kurt Cobain e ad un fantomatico Jim Morrison di cui mi colpì particolarmente una frase riportata su un muro della stazione:

"Quando morirò andrò in paradiso, perchè l'inferno l'ho già vissuto quaggiù."

Non conosco la biografia di Jim Morrison, ma su due piedi mi viene difficile pensare che lui abbia realmente vissuto l’inferno in terra. Anzi, dal mio punto di vista di scialbo quarantenne un po' pelato, penso che lui a quel tempo aveva tutto: la gioventù, il successo, le donne, la libertà di fare il casino che gli pareva. Ma anche questi, ovviamente, sono punti di vista.
Non ho dubbi sul fatto che un adolescente, magari un liceale con lo zaino con i-pod integrato, il taglio fresco di parrucchiere ed i pantaloni a vita bassa (ma vanno di moda anche quest’anno?), possa identificarsi con una affermazione del genere. L’inferno può avere tanti volti, e solo noi sappiamo quanto grandi siano i nostri dolori. Fa parte dell’adolescenza vivere intensamente e forse anche in modo traumatico qualsiasi cosa, anche la più piccola. Non c’è da sorprendersi quindi che questa frase spopoli in rete, su forum, siti e blog (tutta gente che non solo ha un tetto sopra la testa, ma anche telefonini con cui fotografarsi, un computer ed una linea adsl per navigare ed un sacco di amici su myspace e facebook).

Quello che mi stupisce invece è che non sono riuscito a trovare l’originale in inglese, nonostante mi sia impegnato a fondo nella ricerca. Ormai mi conoscete: volevo trovare l’originale, perché nella traduzione poteva essere stato travisato lo spirito iniziale. Ma non ho trovato niente...

Non sarà mica una frase fasulla, attribuita a Morrison solo per dargli più peso?
(tipo quella delle api messa in bocca ad Einstein...)