mercoledì 20 agosto 2008

La logica...

...non è di questo mondo.


Aristotele e Philip K. Dick


Ho letto "Le menzogne di Ulisse - L'avventura della logica da Parmenide ad Amartya Sen" di Piergiorgio Odifreddi. Un excursus sul pensiero di una quantità notevole di segaioli mentali nel corso di più di due millenni.

Personalmente ho un rapporto conflittuale con la filosofia: da un lato mi affascina (al punto che l'ho scelta come argomento di esame per l'orale della maturità) e dall'altro mi repelle.
Mi affascina perchè si pone interrogativi che condivido e cerca di speculare sull'intima natura delle cose. Mi repelle perchè nel corso dei secoli le risposte che sono state date dai filosofi sono state per l'80% delle sonore cazzate e per il restante 20% delle grandissime seghe mentali.

Questa mia personalissima opinione è stata ulteriormente rafforzata dalla lettura del volume di Odifreddi, a cui comunque sono grato per avermi fornito ulteriori argomenti di riflessione sul linguaggio ("la logica è lo studio del logos, vale a dire del pensiero e del linguaggio") e sul ruolo della logica nei confronti del resto dello scibile umano.

Il problema di fondo, ancora una volta, è legato al linguaggio.
Senza linguaggio non siamo capaci di esprimere concetti, pensieri, sentimenti, ragionamenti.
Senza linguaggio, secondo alcuni, non siamo neanche capaci di pensare: ciò che sfugge alle capacità del nostro linguaggio sfugge alla nostra comprensione. L'ineffabile è imponderabile.

La logica, secondo quanto afferma Odifreddi (e non ho motivo di dubitarne, visto che i miei ricordi della filosofia studiata al liceo sono ormai irrimediabilmente confusi), si prefigge proprio di analizzare il linguaggio per arrivare a stabilire se una affermazione possa essere vera o falsa e, di conseguenza, legittimare o invalidare il pensiero che con quella frase è stato enunciato.
Castelli di teorie, regole, strumenti di analisi, sono stati costruiti nel corso dei secoli per riuscire a stabilire se una certa affermazione possa essere considerata vera o falsa, ma tutti, temo, restano relegati ad ambiti circoscritti che poco hanno a che fare con la realtà della vita.

Cerco di spiegarmi con un esempio: un qualsiasi linguaggio di programmazione è costruito in modo tale da non avere ambiguità. Ogni riga di codice è, per sua natura, perfettamente comprensibile (all'elaboratore ed al programmatore) oppure "sintatticamente errata". A questo tipo di linguaggi si possono applicare perfettamente tutte le regole della logica che, in parte, ne sono anche fondamento: la logica di Boole, per esempio, che è alla base di qualsiasi processo decisionale (con gli operatori AND, OR, NOT e via dicendo), così come l'aritmetica binaria che è interpretabile anch'essa come un insieme di regole di logica (1=vero, 0=falso).

Il problema è che il linguaggio che usiamo tutti i giorni per esprimerci non ha affatto le stesse caratteristiche!

Da un lato dobbiamo fare i conti con la molteplicità di lingue del pianeta, alcune delle quali sono profondamente diverse nei loro meccanismi e nel loro modo di ridurre la realtà a parole e concetti, per cui a volte non è nemmeno possibile tradurre correttamente una frase da una lingua all'altra (prova ne siano i banalissimi giochi di parole, croce e delizia di ogni traduttore, che sono necessariamente diversi in ogni lingua, ma lo stesso vale anche per concetti evoluti, come discute lo stesso Odifreddi nel suo libro).

Dall'altro lato dobbiamo fare i conti con la molteplicità di "teste" che usano lo stesso linguaggio ognuna a modo suo. In altre parole: la lingua non è affatto uno strumento chiaro ed univoco (come i linguaggi di programmazione) ma dà adito a ciascuno di noi di attribuire significati diversi alle stesse parole. In prima analisi sembrerebbe di no: un tavolo è un tavolo e una sedia è una sedia. Che cosa ci potrà mai essere di così ambiguo?
Eppure basta poco per sconfinare nel terreno dell'opinabile, per esempio: che cosa vuol dire "onesto"? O "intelligente"? O "furbo"?

Appena il significato di una parola si associa ad un giudizio, immediatamente dobbiamo fare i conti con chi giudica e col suo sistema di valori ed opinioni che, ovviamente, non è affatto identico a quello degli altri. "Furbo", per esempio, nella definizione che ne dà il DeMauro, come aggettivo sembra avere significato positivo mentre come sostantivo è decisamente negativo. Eppure, per ciascuno di noi, è piuttosto facile pensare ad un "furbo" che giudichiamo positivamente e ad un "furbo" che giudichiamo negativamente. A questo punto, se diciamo a qualcuno "sei un furbo" non si sa più se gli stiamo facendo un complimento o se lo stiamo insultando. Dopodiché ci si mette di mezzo anche il suo, di sistema di giudizio, che potrebbe essere opposto al nostro: quindi lui potrebbe sentirsi offeso mentre noi intendiamo fargli un complimento, oppure lusingato mentre cerchiamo di offenderlo

E' un gran casino! Ed è questo è il vero dramma del pensiero e della comunicazione umani. Sì, perchè mentre la logica cerca di costruire un castello di teorie per poter stabilire se una certa frase sia vera o falsa, miliardi di esseri umani basano le loro vite su miliardi di punti di vista diversi ed usano migliaia di linguaggi diversi per esprimere concetti assolutamente opinabili.
E' possibile, come nel caso dei linguaggi di programmazione, creare un linguaggio logicamente perfetto. Però quel linguaggio si può applicare solo ad un "mondo" circoscritto, ridotto ed irreggimentato. Temo che non sia possibile ricondurre a quelle regole il "mondo" (reale, ma anche logico e mentale) in cui viviamo e quindi continueremo ad essere costretti a fare i conti con una realtà ambigua, conflittuale, caotica, in cui per esempio qualcuno continuerà ad essere convinto di andare a portare "pace" e "libertà" mentre sgancia bombe, uccide persone e distrugge intere civiltà. Oppure qualcun altro sosterrà di essere un benefattore che porta il benessere nei paesi più poveri, mentre va lì a sfruttare popolazioni disagiate che sono costrette ad accettare condizioni economiche vessatorie e vergognose.

Sono millenni che succede e probabilmente continuerà a succedere, non solo perchè a questo mondo esistono gli stronzi (ed è una realtà innegabile) ma anche perchè non siamo in grado di dimostrare oggettivamente chi sia stronzo e chi no...



L'immagine iniziale rappresenta Aristotele e Philip K. Dick.
Si dice del primo che fosse un grande pensatore e che tutta la nostra civiltà non sia che una rimasticazione di concetti esposti da lui e da Platone.
Il secondo, senza dubbio, è stato un autore estremamente sensibile all'ambiguità della nostra realtà. Raccontando di mondi alieni, di droghe, di allucinazioni e di esseri viventi artificiali ha messo a nudo la nostra incapacità di definire compiutamente il mondo che ci circonda, ma anche noi stessi, i nostri pensieri, i nostri sentimenti.